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8 Ottobre 2021Parlare di Morte/Lutto ai Bambini
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8 Ottobre 2021L’Attaccamento, dall’infanzia all’età adulta
L’Attaccamento è una relazione privilegiata, biologicamente innata che si instaura tra il bambino e la principale figura di accudimento, il caregiver, che offre cure fisiche, nutrimento, protezione, amore e affetto. Si tratta di un comportamento manifestato per mantenere contatto e vicinanza alla persona ritenuta più adeguata di se stessi ad affrontare il mondo. Il principale teorico dell’attaccamento è Bowlby.
Nella sua teoria esistono 4 fasi:
- 0-2 mesi: i comportamenti di attaccamento sono non intenzionali, né selettivi: pianto, sorriso endogeno, aggrapparsi;
- 2-6 mesi: il bambino mostra attaccamento verso una o più persone (specifiche), specialmente la madre;
- 6-18 mesi: si struttura il legame di attaccamento vero e proprio. Il b. può permettersi di esplorare l’ambiente, utilizzando la madre come base sicura, intorno ai 10-12 mesi, confidando di potervi ritornare in caso di necessità;
- Dai 18 mesi, con la capacità di rappresentarsi mentalmente gli eventi, nasce un rapporto corretto secondo lo scopo, ci si avvicina quando si ha bisogno di conforto e vicinanza.
Secondo Bowlby l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla morte.
Le modalità di accudimento, la capacità di riconoscere i bisogni di conforto e aiuto, la prontezza nel rispondervi adeguatamente o, al contrario, cure carenti, distorte, assenti o separazioni frequenti influiranno sulle future relazioni, poiché creeranno degli schemi cognitivi, i MOI (Modelli Operativi Interni) basati su previsioni relative a come reagirà il caregiver ai propri bisogni di conforto. I bambini impareranno ad utilizzare uno stile di interazione più adeguato possibile al «maternage» offerto loro, non sempre adeguato. I MOI sono dunque delle rappresentazioni mentali di sé e della figura di attaccamento, basati sui modelli ripetuti di esperienze relazionali con il caregiver. Essi avranno una grande influenza anche sulle relazioni future, in età adulta.
Mary Ainsworth ideò la Strange Situation ossia uno strumento d’indagine per comprendere gli stili di attaccamento: 20 minuti di interazione osservata del bambino con la madre, alla separazione da essa e in presenza dell’estraneo.
Dalla teoria di Bowlby e dalle esperienze della Strange Situation, sono stati identificati quattro stili di attaccamento:
Stile sicuro: il Bambino si fida e affida al Caregiver (md) anche nel pericolo, si sente libero di esplorare l’ambiente, è convinto di essere sostenuto e amato da una figura evidentemente sensibile alle sue richieste, può sopportare anche il distacco da essa, non teme di venire abbandonato, ha fiducia nelle proprie e altrui capacità. Da Adulto riuscirà a conservare una buona fiducia in Sé e nell’altro, ad affidarsi e chiedere aiuto, se necessario, ad esplorare e muoversi nel mondo e nelle varie esperienze (familiari o nuove) serenamente.
Le modalità di accudimento, la capacità di riconoscere i bisogni di conforto e aiuto, la prontezza nel rispondervi adeguatamente o, al contrario, cure carenti, distorte, assenti o separazioni frequenti influiranno sulle future relazioni, poiché creeranno degli schemi cognitivi, i MOI (Modelli Operativi Interni) basati su previsioni relative a come reagirà il caregiver ai propri bisogni di conforto. I bambini impareranno ad utilizzare uno stile di interazione più adeguato possibile al «maternage» offerto loro, non sempre adeguato. I MOI sono dunque delle rappresentazioni mentali di sé e della figura di attaccamento, basati sui modelli ripetuti di esperienze relazionali con il caregiver. Essi avranno una grande influenza anche sulle relazioni future, in età adulta.
Mary Ainsworth ideò la Strange Situation ossia uno strumento d’indagine per comprendere gli stili di attaccamento: 20 minuti di interazione osservata del bambino con la madre, alla separazione da essa e in presenza dell’estraneo.
Dalla teoria di Bowlby e dalle esperienze della Strange Situation, sono stati identificati quattro stili di attaccamento:
Stile sicuro: il Bambino si fida e affida al Caregiver (md) anche nel pericolo, si sente libero di esplorare l’ambiente, è convinto di essere sostenuto e amato da una figura evidentemente sensibile alle sue richieste, può sopportare anche il distacco da essa, non teme di venire abbandonato, ha fiducia nelle proprie e altrui capacità. Da Adulto riuscirà a conservare una buona fiducia in Sé e nell’altro, ad affidarsi e chiedere aiuto, se necessario, ad esplorare e muoversi nel mondo e nelle varie esperienze (familiari o nuove) serenamente.
“Io sono degno di essere al mondo e il mondo è un posto in cui posso ricevere aiuto e sostegno”
Stile insicuro-ambivalente: il Bambino non ha la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile e che risponderà ad ogni sua richiesta d’aiuto, non si sintonizza sulle sue esigenze, ma si avvicina e si allontana in relazione ai suoi bisogni personali. Il B. esita così, nell’esplorare l’ambiente circostante o lo fa con ansia e angoscia soprattutto se deve allontanarsi dalla Md. Egli non è sicuro di essere amabile, degno di amore quindi, non riesce a tollerare il distacco per paura di essere abbandonato (la md potrebbe ad es. aver utilizzato minacce di abbandono per punire), non ha fiducia nelle proprie e altrui capacità. Il Caregiver risulta disponibile, ma in modo intermittente, la sua presenza è imprevedibile. Percezione di un IO in pericolo e degli altri come imprevedibili e pericolosi, nel senso che possono farlo soffrire, abbandonarlo, farlo sentire solo quando ne ha bisogno, possono non essere disponibili, se necessario. Da Adulto svilupperà una personalità centrata sull’utilizzo di controllo e coercizione per ottenere attenzione, vicinanza e presenza di persone altrimenti distratte (il Caregiver in infanzia, altre persone in età adulta).
“Non sono degno di essere amato, il mondo è un posto in cui ognuno pensa a sé, è imprevedibile”
Stile insicuro-evitante: il Bambino è convinto che la madre non risponderà alle sue richieste o verrà addirittura rifiutato, deve così affidarsi solo a se stesso, non agli altri, dovrà imparare ad essere autosufficiente anche a livello emotivo, quando non è ancora in grado di esserlo (si costruirà così un Falso Sé). La Md risulterà spesso rifiutante e respingente, scoraggerà il contatto fisico quando starà male, ridicolizzerà le ansie o minaccerà una rottura della relazione se il B. continuerà a lasciarsi andare alle paure. Tutto questo per modalità apprese, a sua volta, nelle sue esperienze (è importante sostenerla per aiutarla a comprendere). In questo contesto, ovviamente il B. svilupperà una effettiva insicurezza (anche se ostenterà il contrario e non farà richieste d’aiuto) nell’esplorare ambiente e situazioni nuove, sarà convinto di non essere amato, tenderà ad evitare le relazioni per la sicurezza di essere rifiutato, reprimerà le emozioni, spesso quelle non «accettate» come la paura e l’ansia nelle situazioni di pericolo. Da Adulto svilupperà una personalità che sopprime le emozioni, fino all’anaffettività, competizione eccessiva, iperattività, estrema aggressività.
“Io devo fare da solo, gli altri sono ostili e rifiutanti”
Stile disorientato/disorganizzato: il Bambino durante l’osservazione, ma anche in altre situazioni, mostra ansia, pianto, si butta sul pavimento, gira in tondo e attiva comportamenti stereotipati, dondolandosi sulle ginocchia, sembra in trance quando si separa dalla figura d’attaccamento oppure va verso di lei evitando di guardarla (gira la testa di lato), può ammutolirsi all’improvviso, come congelato nelle attività. Il Caregiver che dovrebbe fornire protezione, è la stessa che infonde paura e rappresenta il pericolo attivando comportamenti abusanti, di trascuratezza, forse figlio/a a sua volta di persone con problemi psichiatrici, incapaci di accudimento, in preda ad un dolore estremo come un lutto o un trauma non risolto. La figura di attaccamento è così maltrattante e fa paura, ma allo stesso tempo il bambino sentirà di «poterla salvare» dalle paure di lei verso altri. I MOI saranno caratterizzati da ostilità e impotenza, il b./adulto vedrà se stesso come minaccioso, che incute paura e per questo verrà minacciato o punito (giustificando così il maltrattamento subìto), si sentirà impotente e vulnerabile. La realtà è catastrofica, può portare a vari esiti negativi.
“Io non sono degno di essere amato, mi avvicino, poi mi spavento e mi allontano”.
Bibliografia
Andolfi M., (a cura di) (2010). Il bambino nella terapia familiare. Milano: Franco Angeli Srl
Ammaniti M., (a cura di) (2001). Manuale di psicopatologia dell’infanzia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Gambini P., (2007). Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale. Milano: Franco Angeli Srl
Ammaniti M., (a cura di) (2001). Manuale di psicopatologia dell’infanzia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Gambini P., (2007). Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale. Milano: Franco Angeli Srl
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