L’essere rimasti isolati, l’aver vissuto nell’intimità della casa e della propria famiglia ha rilevato la necessità di convivere anche con se stessi e l’immergersi nelle relazioni che abbiamo nella nostra “casa a tre piani” (Lingiardi, 2021), l’Io, il Tu e il Noi. “Senza un Tu, l’Io si svuota, senza un Noi il Tu si inaridisce, e l’Io ha bisogno di ascoltare anche se stesso per non calpestarsi”. I tre piani di questa simbolica casa rappresentano tutte le relazioni che abbiamo, con noi stessi in primo luogo, ma anche con l’altro, il nostro partner, o un familiare/amico/a con cui condividiamo la quotidianità, e, durante il lockdown, ogni momento della giornata. Le relazioni con la Comunità infine fungono da barometro di ciò che accade dentro.
Abbiamo sperimentato una vicinanza da lontano, o una distanza intima, seppur solo virtuale. L’online ci ha permesso di abbattere barriere fisiche, ma anche psicologiche ed emotive con una modalità che non pensavamo di poter mai utilizzare, nel lavoro come nelle relazioni sociali. Piacevole però rivedersi di persona, appena possibile, nel prendere contatto a tu per tu con l’altro, con le espressioni del volto, pur dovendo “frenare” l’istinto di un abbraccio o un bacio, dovendo rinunciare “con tatto al contatto” (Lingiardi, 2021, pag. 26) per tutelare se stessi e l’altro, rispettandosi a vicenda. Abbiamo cercato di trasformare la freddezza della distanza in calore, empatia, rispecchiamento e identificazioni, da quel metro che ci separa o in quello schermo che ci unisce. Capitolo a parte è rappresentato da chi pur potendolo fare, ha avuto difficoltà a rivivere una socialità quasi normale, pur potendo incontrare nuovamente persone, ha trovato ostacoli dentro di sè nel farlo.
Abbiamo vissuto situazioni più o meno gravi, perdite di persone care, di lavoro e occupazioni, l’acuirsi di difficoltà all’interno della coppia o della famiglia, periodi di crisi più o meno profonde e durature. Su alcuni eventi e situazioni abbiamo sperimentato la nostra impotenza e l’immodificabilità delle cose, ma possiamo provare a “vederle” in modo differente, comprendere cosa trarne come insegnamento, cosa tutto questo può lasciarci per crescere e migliorare, scoprendo nuove versioni di noi stessi, nuove modalità di relazione con noi e con l’altro.
Ogni esperienza traumatica e la possibile elaborazione vanno pensate considerando l’oggettività della minaccia, ma anche e soprattutto la soggettività della risposta, ossia come IO la vedo, affronto, elaboro. In questo contesto spazio-temporale è fondamentale che le parti di noi sfiduciate e spaventate o arrabbiate dialoghino con quelle capaci di speranza e di creatività per poter costruire o ricostruire quello che possiamo.
Se questo lavoro non riusciamo a farlo da soli, chiedere un sostegno da parte di un professionista può aiutarci a compiere dei passi verso la parte di noi che scalpita per uscire, per realizzare ciò che può, raggiungere obiettivi lasciati in standby ormai da tempo.